venerdì 24 giugno 2011

Fammi ripetere con parole mie

Come Software Architect, la lezione più preziosa è stata imparare che io e lo sponsor del progetto - o meglio, si dovrebbe dire gli stakeholder - parliamo lingue differenti.

Abbiamo del resto una formazione differente, esperienze differenti, e significative difformità nei punti di vista.

Per questo la chiave del successo di un progetto software, oggi, è la chiarezza di comunicazione tra chi fornisce la tecnologia - l'Architect, appunto - e chi intende utilizzarla per raggiungere i suoi scopi di business.

Ecco perché è fondamentale che l'Architect si chieda sempre: ho capito quali sono gli obiettivi di questo progetto? Esiste uno strumento formidabile: dopo aver letto un documento, aver partecipato a una riunione, avere ascoltato le parole degli stakeholder, fermarsi un attimo e dire: "Ok, ora fammi ripetere con parole mie". Vediamo cosa ho capito davvero.

Altrettando fondamentale è chiarire fin dall'inizio che cosa la tecnologia può offrire, e che cosa non può offrire. E' bene fin da subito spianare il campo da miti e leggende. (E lo so che è difficile: è bello all'inizio avere uno sponsor che ci guarda come Bilbo Baggins guardava Gandalf nello Hobbit!)

Direi quindi che sono due le chiavi importanti per il successo di un progetto software enterprise:

1) Voglio capire bene quali sono gli obiettivi da ottenere con il sistema
2) Voglio comunicare bene cosa un sistema è in grado di offrire (e cosa no)

Le questioni tecniche, i disegni architetturali, i dettagli implementativi vengono molto dopo.

venerdì 17 giugno 2011

Basta Database!

Una domanda che non fareste mai ad un Cliente, che ha un sistema informativo con un suo potentissimo sistema di RDBMS (database relazionale, normalmente Oracle o MS Sql Server), è: "Ok, ma a cosa ti serve?"

Come a cosa serve un database? (Ti guardano come un poveretto, con tanto di occhi sgranati)... Ma non lo sai che in un database ci sono tutti i dati aziendali? Ma non lo sai che è il cuore del sistema informatico? Ma non lo sai che nessuno nemmeno osa pensare di non averne uno...

Mentre sento queste cose mi aggiro curioso tra gli utenti (solitamente disperati) di un tale eccellente sistema: sono lì che combattono con infinite tabelle, piene di dati ridondanti e infinitamente inutili, che per essere tirati fuori hanno bisogno di uno stranissimo linguaggio, perlopiù incomprensibile alle logiche umane, chiamato SQL.

La maggior parte delle aziende, per cercare di tirar fuori qualcosa da quei mostri lì, compra sistemi di Datawarehouse e Business Intelligence che costano loro un ordine di grandezza in più...

Mi aggiro tra sistemisti che sognano vacanze ai Caraibi e mondi senza computer - soprattutto senza database - e tra manager che guardano fuori dalla finestra cercando di capire con quali soldi pagare l'espertone Oracle (o quello che volete) che gli risolverà il loro maggior problema, e cioè: perché ho milioni di dati inutili e non trovo mai quelli che mi servono?

A cosa serve un database? "Ad archiviare i dati". Sono scettico. "A gestire le transazioni..." ok, ci avviciniamo. "Ad estrarre dai miei dati le informazioni che servono per il mio business..." Ah no! Ecco il punto!

Il punto è che la tecnologia delle basi di dati è nata quando i computer erano relativamente lenti, soprattutto i dischi, poco capienti e le applicazioni molto costose da scrivere, perché difficili da creare e debuggare. Perciò si è inventato un sistema altamente efficace nell'archiviare i dati (scrittura) e nel recuperarli (lettura), e questo a scapito della loro intelligibilità e facilità d'uso.

Il sistema relazionale inventato da Cobb è un sistema efficace con computer poco potenti e capienti, esattamente il contrario dei computer di cui disponiamo oggi.

Oggi possiamo tranquillamente immaginare (e realizzare!) un sistema informativo complesso senza database sotto. "E come fai ad archiviare i tuoi dati?" Li scrivo sul disco, ovvio. Sì ma in che formato?

Ecco una buona domanda. Le cui risposte possono essere almeno tre, e ricoprire con ciò gran parte delle necessità di archiviazione di un'applicazione anche di media/grande complessità.

Prima possibilità: flat file. Salviamo tutti i nostri dati in file di testo in formato flat. Esempi: il win.ini, YAML, SQLite, TextDB ecc. ecc. (http://en.wikipedia.org/wiki/Flat_file_database)

Seconda possibilità: chi ha necessità di immagazzinare relazioni gerarchiche di tipo padre-figlio, o strutture fortemente innestate, può usare il formato di testo più potente in assoluto: XML. Il che è però fin troppo per la stragrande maggioranza delle applicazioni.

Terza possibilità: ok, proprio non potete fare a meno di Oracle! Almeno lasciatelo scrivere a chi lo sa fare, e voi non sporcatevi le mani. Utilizzate dunque uno strumento di ORM - object relational mapping - che ha il compito di serializzare, deserializzare e ricercare i vostri oggetti di business in un normale database relazionale.

Quest'ultima possibilità è quella secondo me più interessante, e che spero prenda piede nelle applicazioni enterprise del prossimo lustro. L'articolo che più concisamente descrive la tecnica è questo.
Seguito dall'ottima voce su Wikipedia.

In soldoni, nelle applicazioni moderne, le attività di DDL (Data Definition Language) e DML (Data Manipulation Language) debbono essere demandate ad un apposito strato software (l'ORM appunto) che le svolge al meglio e in modo "trasparente" per l'utente. In questo caso ciò che conta maggiormente nell'applicativo non è più il modello concettuale dei dati, ma il modello concettuale degli oggetti (sottinteso, di business, cioè a dire: web services, remote procedure calls e quant'altro). Il vantaggio consiste, di fatto, nella drastica diminuzione delle risorse necessarie al disegno e allo sviluppo della base dati - fino quasi ad annullarle.

Per Java, il miglior strumento ORM è senz'altro Hibernate, mentre per il mondo Microsoft è l'Entity Framework

Entrambi sono ottimi punti di partenza per dire definitivamente addio agli odiati database.